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Lorenzo Perosi, quella musica sacra che parla ancora oggi

ARTICOLO ORIGINALE DI ANGELO FOLETTO SU REPUBBLICA.IT

Don Luigi Garbini dedica al grande compositore, nato 150 anni fa, una biografia per smentire “ i malintesi” sulla sua produzione musicale

di Angelo Foletto

«Oggi c’è più libertà e disponibilità, da parte dei fedeli e delle diocesi, nell’accogliere tutta la storia della musica “da chiesa”». Detto da don Luigi Garbini, c’è da crederci. Viceparroco in San Marco, ideatore di rassegne dedicate alla musica nelle chiese, committente di partiture per la liturgia a compositori classici, autore della Breve storia della musica sacra, e del provocatorio Una musica tutta per sé. La musica sacra non esiste.L’idea si conferma dopo avere letto,Lorenzo Perosi. Tutti o quasi i malintesi raccolti attorno a un nome.

(BAM International, 142 pagg, 22 euro), scritto in occasione del 150enario della nascita di Monsignor Perosi, compositore di grande fama, autore di oratori, messe polifoniche ma anche musica strumentale, diplomato nel 1891 in contrappunto al Conservatorio di Milano. Ordinato in capitoli (Chi di noi può dire di conoscerlo davvero? Perosi antiborghese. Contro il potere paralizzante della storia. Un solo Perosi. Postmoderno ante litteram?) intestati non meno provocatoriamente del sottotitolo, il libro non è la solita biografia d’artista. Non solo perché la profusione (e corposità) delle note a piè pagina lascia al lettore interessato la possibilità di togliersi le curiosità in merito, lasciando la ribalta ai pensieri “attuali” dell’autore. «La letteratura su Perosi aveva bisogno di una riflessione al di là dell’agiografia, e dei luoghi comuni», spiega don Garbini, sciogliendo alcuni “malintesi”. Partendo dal fatto che, nonostante l’attivismo della natale Tortona, l’emozione d’ascolto della musica dal vivo di Perosi è rarissima — anche per l’oggettiva imponenza e pretese artistiche delle partiture oratoriali: «Così molto spesso si sono scritte cose “riportate” e non basate sull’esperienza diretta». Facendo quasi passare in secondo piano che la «parabola creativa perosiana, di andamento sinusoidale quanto a recezione, si è consumata nel giro di pochi anni: un fenomeno breve » . Una decina d’anni, a largheggiare (1894-1907). Seppure impegnato nel fornire pagine di musica a cinque pontefici (dal Leone XIII che nel 1898 lo nominò Direttore Perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina a Pio XII) e a firmare otto Oratori ( « un gesto di grande coraggio rivolgersi a questa forma a fine Ottocento») in quattro anni. Dal 1897 al 1901, anno di Mosè, diretto in prima da Arturo Toscanini. Al centro d’una stagione milanese straordinaria: «Sfumata l’idea di un’opera su libretto di Fogazzaro (ilSanto) lo scrittore fu in prima fila per far “uscire” Perosi nella città dove agiva un mondo intellettuale particolarmente aperto, seppure molto composito che accomuna anticlericali e positivisti e sostenitori di una rinascita della musica italiana non operistica», precisa Garbini. Ricordando che con l’appoggio di alcune famiglie importanti la chiesa sconsacrata di Santa Maria della Pace fu per alcuni anni «Sala Perosi», un auditorium dedicato all’esecuzione degli Oratori («le mie opere», disse Perosi) allargando la platea di appassionati e colleghi-estimatori. «C’è più musica nella testa di Perosi che in quella mia e di Mascagni messe insieme »: parola di Puccini. Delle sue partiture si presero cura anche «grandi direttori-apostoli della modernità (da Gustav Mahler a Hermann Scherchen) » aggiunge Garbini. Senza dimenticare gli intellettuali europei come Romain Rolland cui si deve l’ampia diffusione internazionale di Perosi. Dalle pagine del libro di don Garbini emergono notazioni a riguardo della politica musicale spregiudicata di San Marco dove già agli inizi del XIX secolo l’orchestra della Scala eseguì tempi delle sinfonie di Beethoven all’Offertorio («perché era un autore di moda, nuovo ma che aveva conquistato il pubblico»), poi ospitò la prima del Requiem di Verdi e via dicendo. «Abbiamo un archivio musicale dotatissimo e che copre vari secoli», assicura Garbini, che si dice ancora convinto della necessità di spingere i musicisti viventi al confronto con i testi sacri: «È vitale coltivare il rapporto tra liturgia e i suoni di oggi».

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