Non c’è bellezza senza carità: quando don Orione unì Perosi e Toscanini

Di Laura Cioni

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La composizione della partitura del “Mosè”, spiega LAURA CIONI è uno dei tanti esempi di amicizia e carità lombarda che hanno dato vita a grandi opere

Una singolare amicizia tra due personalità famose del mondo musicale ha come sfondo Milano e la sua attitudine alla solidarietà. Ne scrive il Superiore generale della Piccola opera della Divina Provvidenza, don Flavio Peloso che, attingendo a documenti inediti, pubblica sull’ultimo numero dei “Messaggi di don Orione” uno studio dal titolo Perosi, Toscanini e l’Oratorio Mosè come segno di amicizia e stima.

Il 16 novembre 1901 vede l’esecuzione in prima mondiale dell’oratorio Mosè di Lorenzo Perosi sotto la direzione di Arturo Toscanini nella chiesa di Santa Maria della Pace.
La loro conoscenza  risale a due anni prima, quando il giovane direttore artistico della Scala vuol far apprezzare al grande pubblico la musica del sacerdote don Perosi, dirigendo La resurrezione di Lazzaro. Toscanini guarda con simpatia al prete semplice e mite e Perosi si reca volentieri dal direttore dal quale afferma di imparare sempre qualcosa.

Per un mese e mezzo compositore e direttore si incontrano per mettere a punto la partitura del Mosè; Toscanini consiglia a Perosi, notoriamente definitivo nelle sue note, di aggiungere allo spartito arpeggi e di utilizzare l’arpa per evocare il movimento dell’acqua nell’episodio del passaggio del mar Rosso. Il maestro accetta il suggerimento e Toscanini ammira la disponibilità di Perosi. Dopo quella collaborazione milanese rimangono amici, anche quando Perosi viene chiamato a Roma come Maestro della Cappella Sistina e Toscanini si trasferisce in America. Sono  le note di Perosi a risuonare per il funerale del grande direttore d’orchestra.

L’amicizia reciproca può essere stata facilitata da un elemento in comune: erano entrambi amici di don Orione. Perosi  coetaneo, concittadino, compagno di seminario del sacerdote apostolo della carità, Toscanini  Presidente onorario della Associazione Amici dei Mutilatini, costituita a Milano nel 1948, il cui Consiglio di Amministrazione vede l’opera di sua figlia Wally, di don Gnocchi, di Luigi Meda, di Giovanni Falk. Erano evidentemente tempi in cui esponenti della cultura, dell’industria e delle istituzioni collaboravano in opere sociali di grande portata, nel solco di una tradizione viva a Milano, la cui vocazione fattiva è nota e ha generato in ogni epoca iniziative durature nell’immenso campo della carità.

La generosità dei milanesi non di rado si è accompagnata con l’amore per la cultura. Ne è un esempio lo straordinario patrimonio immobiliare e artistico dell’Ospedale Maggiore, costituito dalle donazioni di numerosi cittadini di Milano nel corso dei secoli. Sarebbe un grande regalo per la città poter ammirare la quadreria, l’archivio e gli altri tesori della Fondazione, così come lo è il restauro dell’abbazia di Mirasole completato negli anni passati, che permette oggi di godere di un piccolo gioiello situato  nei pressi della tangenziale sud, là dive le ultime costruzioni fanno spazio alla campagna.

Forse non è un caso che la carità e la solidarietà con chi soffre si leghino all’amore per il bello, alla celebrazione di quanto è nobile e prezioso nell’opera umana. Anzi, forse è questo un segnale che l’uso accorto della ricchezza, la capacità di farla fruttare alimentano la magnanimità di chi pensa veramente al bene comune, innanzitutto a quello di chi è meno abbiente o ha bisogno di cure. Tutti, i nobili e il popolo, i sani e gli ammalati, hanno la necessità e il diritto di godere di quella bellezza che solleva l’animo dalla meschinità e lo riempie di consolazione. Questo il messaggio che viene dalla Ca’ Granda, che i milanesi hanno voluto dedicata all’Annunziata, la donna più invocata nel bisogno e più celebrata nell’arte.

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